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L'IMPOSSIBILE BANCHETTO - Globo Teatro Festival

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GLOBO TEATRO FESTIVAL
L'impossibile Banchetto
Martedì 26 Agosto 2025 ore 21.00
ARENA LEGA NAVALE - LUNGOMARE PELLARO - REGGIO CALABRIA
INGRESSO € 7


di Katia Colica
con Maria Milasi (Frida Kahlo), Americo Melchionda (Picasso), Francesco Spinelli (Marinetti), Kristina Mravcova (Benedetta Cappa), Simone Zampaglione (Boccioni), Thekla Demarco (Cameriera).  Musiche Antonio Aprile.
regia Americo Melchionda  produzione Officine Jonike Arti

“Sono le dieci esatte, e in questa serata che mi immagino da molto lontano io non ci sono stato, non ci sono e non ci sarò: il mio volo è stato cancellato per lasciare la pista libera al volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio. Non ci sarò, dicevo, sebbene ci sia: volete forse negarlo?”

In un universo sospeso – una Reggio Calabria trasfigurata in sogno – si celebra una cena mai cominciata, un rituale interrotto che diventa parabola dell’arte. Salvador Dalì è atteso per il banchetto del suo compleanno. Banchetto che egli stesso ha programmato. Arriverà? Ad aspettarlo Frida Kahlo, Pablo Picasso, Boccioni, Marinetti e Benedetta Cappa, iconici invitati dalle personalità titaniche intrappolati dentro un incontro irreale. Dietro la tavola apparecchiata l’arte diventa spazio di attrito, di possesso e di perdita, fino a quando Frida Kahlo riesce per prima ad andare oltre l’apparenza conviviale rivelando ciò che gli altri ancora non capiscono. E l’arte si autocelebra con la semplicità dei geni che superano ogni antagonismo per scoprire, con un colpo di scena, il loro ruolo nel banchetto e nel mondo intero.  

Note di drammaturgia
“Diventare immortali e poi morire”
 Jean-Luc Godard
Nella  piéce L’impossibile Banchetto, la scrittura sceglie di sedurre lo spettatore attraverso un’ironia visionaria, orchestrando un incontro impossibile tra grandi voci dell’arte del Novecento. In un universo sospeso – una Reggio Calabria trasfigurata in sogno – si celebra una cena mai cominciata, un rituale interrotto che diventa parabola del fare arte, del convivere, del misurarsi tra personalità titaniche. Il cuore invisibile della scena è Salvador Dalì, assente ma onnipresente, convocato da ogni parola, evocato da ogni dettaglio. La sua assenza è la drammaturgia stessa: è vuoto e regia, mancanza e onnipotenza. Il banchetto è per lui, ma è anche il suo autoritratto in negativo: non c’è, ma tutto gli somiglia. Il testo si sviluppa come una tessitura dialogica e simbolica: il linguaggio alterna l’asprezza della rivalità alla delicatezza della memoria, la leggerezza del paradosso all’intimità dell’autoritratto emotivo. Ogni personaggio non è solo una “figura storica”, ma una maschera drammaturgica che porta in scena le fratture, le ambizioni, le visioni di un’epoca.
Frida Kahlo è la chiave del banchetto. La linea di rottura tra autobiografia e creazione, tra corpo e pittura. La sua voce – potente, viva, dolorosa – porta il tema del trauma nell’architettura del banchetto, trasformando la scena in un campo magnetico di intensità e contraddizione. Non solo per la forza emotiva e visiva che la sua figura incarna, ma perché è lei a comprendere prima di tutti il significato profondo dell’arte nel tempo e nello spazio: prigione e orizzonte aperto. Frida sa – e lo dice – che l’arte rende immortali, ma lo fa al prezzo di una condanna: l’artista resta imprigionato nel ruolo, nel mito, in una forma che lo trascende e lo supera. In lei convivono ferita e visione, corpo e metafisica. È l’unica a vedere oltre l’apparenza conviviale del banchetto, rivelando ciò che gli altri non sanno ancora.
Pablo Picasso, nel cuore del dispositivo scenico, si offre come misura del reale e dell’irreale, del coraggio e della consuetudine. La sua presenza è ambigua e centrale: da un lato è testimone del caos, dall’altro custode di una forma; capace di smontare e ricostruire, è il personaggio che tiene insieme l’istinto dirompente e la necessità di struttura. Magnetico e controverso, diventa ago della bilancia fra delirio e controllo, fra rivoluzione e permanenza.
Benedetta Cappa, si confronta con la propria posizione di donna, artista e compagna. Non è l’ombra di Marinetti, ma la sua interlocutrice più profonda e lucida. La sua presenza scompone e ricompone il Futurismo da una prospettiva finalmente differente: quella del margine che si fa centro.
Boccioni e Marinetti si affrontano e si rincorrono in un gioco di specchi tra ideologie, estetiche e passioni. La scena ne restituisce le pulsioni: l’arroganza, la febbre, la lucidità, ma anche la fragilità. Marinetti è verbo e gesto, Boccioni è fuoco e slancio. Insieme, generano tensioni e attriti che diventano struttura ritmica del testo.
Il cameriere muto, figura clownesca e perturbante, diventa metronomo del tempo scenico e doppio silenzioso di Dalì. È il custode dell’attesa, della sospensione, del “non detto” che vibra dietro ogni parola. La sua muta presenza sottolinea che non tutto può essere spiegato: nell’arte come nei legami umani, c’è sempre qualcosa che sfugge, che resta sospeso.
L’opera gioca su un doppio registro: è visivamente onirica, ma interiormente concreta. Dietro la tavola apparecchiata si cela una riflessione tagliente sull’arte come spazio di attrito, di possesso e di perdita. L’immaginario daliniano, evocato nelle scenografie e nelle luci, non è solo cornice ma vera e propria drammaturgia visiva, che accompagna e moltiplica i livelli di lettura.
L’Impossibile Banchetto è un meccanismo scenico che interroga la Storia dell’arte come se fosse un sogno fatto a pezzi: ci chiede non tanto di capire, quanto di restare. È una sfida teatrale che, attraverso il surreale, cerca una verità più intima e più feroce: quella delle relazioni, della creazione, della memoria che non muore mai davvero.


 

Globo Teatro Festival
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